I DIARI DI KURT COBAIN, LEADER DEI NIRVANA, DECEDUTO PER PRESUNTO SUICIDIO
( 12/02/2003 ) “Hope to die before I turn into Pete Townshend”
Frase solitaria su una delle ultime pagine che i diari di Kurt Cobain ci hanno restituito. Si firmava Kurdt e sui quaderni e i fogli degli alberghi che lo accompagnavano nelle sue peregrinazioni buttava giù tutto se stesso. Progetti, idee, riflessioni, poesie, disegni, fumetti. Pare fossero molti di più, i quaderni, ma quelli rimasti – una ventina – sono abbastanza per farsi un’idea della personalità di uno dei più controversi musicisti degli ultimi anni. Tenuti in cassaforte finché la vedova, Courtney Love, ne ha consentito la pubblicazione (a peso d’oro), appaiono oggi in versione italiana per la Mondadori. Diciamo subito che la cura e la traduzione (di N. Cannizzaro e G. Strazzeri) sono ottimi. Ogni pagina riproduce una copia dell’originale manoscritto inglese e la puntuale traduzione, così da permettere un veloce confronto. Esitazioni, cancellature, note in margine, disegni e quant’altro sono immediatamente ripercorribili, mentre il fantasma di Cobain si avvicina.
Eh sì, perché i diari forse possono essere letti solo con la consapevolezza della frase che li apre: “Don’t read my diary when I’m gone”. E non c’è dubbio: l’uomo fragile, ipersensibile e solitario che era Kurt Cobain non si stacca più dal lettore fino all’ultima pagina. Pensieri illuminanti e critiche beffarde. Fantasie grottesche, prese in giro, autoironie di una cattiveria quasi insostenibile. Eppoi descrizioni di un’acutezza sorprendente. Disegni spietati e voglia di sincerità. Una voglia che si scontra perennemente con la presa di distanza da qualsiasi comportamento autoindulgente. “Mi piace la sincerità. Mi manca la sincerità”.
Eppure doveva averne una dose infinita, Kurdt, di quella sincerità quasi primordiale che ti fa dire e scrivere e cantare solo quello che davvero senti, se fu forse proprio per il timore di diventare finto, inautentico, ormai risucchiato nelle leggi dello starsystem, se fu forse proprio per questo timore che in un giorno di aprile, dopo averci provato senza riuscirci proprio in Italia, a Roma, Cobain decise di farla finita...
Ma la testimonianza che resta, aldilà delle sue canzoni ormai ‘immortali’, è straordinaria. Nei quaderni c’è tutto. Dai progetti che lo accompagnavano nei primi mesi di esistenza della band (“Oh our last and final name is Nirvana”), progetti in cui chiunque abbia desiderato un futuro nella musica potrà riconoscersi, fino al tentativo di ripercorrere la storia della musica punk rock. Da storie personali assolutamente uniche, dove la solitudine di Kurdt è come un’ostentazione nel mare di apatia e falsità che lo circonda, fino a prese di posizione che lasciano il segno. Come per l’ammirazione incondizionata nei confronti dell’universo femminile e la stima verso la cultura afro-americana. Ma tutto senza mai un briciolo di quella retorica che detestava. Così, ad esempio, nelle pagine che sono quasi il suo ritratto, Cobain si diverte a scrivere: “Mi piace mantenere opinioni forti senza argomenti per sostenerle al di fuori della mia connaturata sincerità”.
CONSIGLIO A TT DI LEGGERSI QUALCHE PAGINA DEL SUO DIARIO PER CAPIRE VERAMENTE IL ROCK E LA VITA
BASTA SCHERZARE... ECCO UN PO' DI STORIA, QUELLA VERA!
venerdì 29 maggio 2009
Pubblicato da Maaarta alle 05:35
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